La poetica di Verga esprime un grande pessimismo,che unisce l'impossibilità dell'elevazione del proprio essere,con quella di tipo economico o sociale: lo troviamo nei Malavoglia,dove la famiglia che vuole elevarsi economicamente finisce letteralmente per disintegrarsi, e in tutte le sue altre opere.A lla fine Verga ci vuol fare capire, che non dobbiamo mai lasciare quello che abbiamo, perchè andremo incontro alla sconfitta.Alla base del pessimismo di Verga sta la profonda convinzione che la società moderna sia dominata dal meccanismo della lotta per la vita. "mai lasciar la strada vecchia per quella nuova"
Infatti nella Prefazione al Ciclo dei vinti, dalla quale si apprende l’ideologia verghiana, egli afferma, fra l’altro, che l’autore non deve intervenire perché non ha il diritto di giudicare e di criticare gli eventi: chi scrive deve quindi usare la tecnica dell’impersonalità, che si configura come il modo più adatto per esprimere una realtà di fatto, ovvero la presenza incontrastata del Male nel mondo. La vita è infatti una dura lotta per la sopravvivenza e quindi per la sopraffazione, un meccanismo crudele che schiaccia i deboli e permette ai forti di vincere: è questa la legge della natura – la legge del diritto del più forte – che nessuno può modificare perché non ci sono alternative.
Si perviene perciò all’illegittimità di giudizio e di critica da parte dell’autore, dato che il cambiamento non è comunque possibile: tanto vale lasciare che le cose vadano come devono naturalmente andare. Quella della natura è una legge dura e spietata – che già Darwin aveva intuito e formulato nella legge della selezione naturale e che il darwinismo sociale aveva fatto propria – e ad essa non ci sono alternative: come direbbero i latini, dura lex sed lex. L’autore deve solamente limitarsi a fotografare la realtà, descrivendo i meccanismi che ne stanno a fondamento; la posizione verghiana è pertanto diversa da quella di Emile Zola: non c’è denuncia ma solo constatazione nuda e cruda della realtà così com’è. Il verismo autentico si attua perciò solamente nella forma e la letteratura assume la funzione di studiare ciò che è dato e quindi di rappresentare fedelmente il reale. Verga non è però indifferente ai problemi del suo tempo, in quanto conservatore, galantuomo del Sud e non socialista: è significativo infatti che parli dopotutto dei vinti e non dei vincitori. Il suo linguaggio lucido e disincantato lo porta però a scrivere della realtà denunciandone la crudeltà senza mitizzazioni: non c’è pietismo ma solo osservazione lucida del vero. È questa la concezione pessimistica di Verga circa la condizione umana nel mondo, una condizione che l’uomo non può modificare perché gli è fondamentalmente propria. Egli, alla pari di chi scrive, deve solamente limitarsi alla nuda constatazione di uno spettacolo immodificabile in cui ogni giudizio o proposta di cambiamento si rivelano vani e superflui. In questo senso le possibilità umane nel mondo sono pesantemente limitate.
Tale visione è virilmente pessimistica e tragica, perché Verga, positivisticamente, non credeva nella Provvidenza e Dio è assente dai suoi libri, ma non credeva nemmeno in un avvenire migliore da conquistarsi sulla terra, con le forze degli uomini.
Vinto è chiunque voglia rompere con il passato in maniera improvvisa e clamorosa, senza esservi preparato, mentre coloro che accettano il proprio destino con rassegnazione cosciente posseggono saggezza e moralità.
La scoperta dell'umanità delle plebi; l'analisi del risvolto negativo del progresso, e quindi delle lacrime e del sangue di cui esso grondava, dietro la sua facciata rilucente, spinsero Verga a considerare il presente e il futuro con un pessimismo che lo indusse alla critica della la società borghese, ma anche alla rinuncia sfiduciata ad ogni tentativo di lotta.
Verga, pur avendo frequentato ambienti aperti e spregiudicati, restò intimamente legato alla mentalità siciliana profondamente tradizionalista e fatalista ed anche l'ideologia politica restò epidermica e retorica, senza abbracciare le teorie socialiste.
Il contatto con la borghese e disinvolta società milanese (1872 – 1893) lo spinse a ripensare l'intero codice dei valori.
La concezione della società
La svolta verista
La cosiddetta "svolta" verista nacque dal proposito di contrapporre alla mentalità borghese la schiettezza di un'umanità umile, travagliata, eppure capace di conservare intatti i valori tradizionali ed affettivi.
A tal fine Verga teorizzò uno stile antiromanzesco il cui fulcro fu il canone dell'impersonalità.
Come verista, Verga intese svelare le conseguenze eticamente negative del progresso economico, voluto ed attuato dalla borghesia.
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